Per decenni, i politici vissero d’aria. Almeno, sulle pagine dei giornali.
Ricordo bene, tornando con la mente a quando ero cronista politico in servizio permanente effettivo, la mastina sorveglianza degli addetti stampa dei più noti personaggi della scena politica nazionale, prima e seconda Repubblica, contro ogni tentativo dei fotogiornalisti di sorprendere i loro leader a tavola, o anche solo mentre addentavano una tartina, un bigné a qualche buffet, per non dire del leccare un cono gelato.
I politici, in fotografia, non mangiavano mai.
C’era una ragione, e non so dare torto a quei miei colleghi dell’altra sponda della barricata. La fotografia, per questo uno scultore come Auguste Rodin la disprezzava, blocca i movimenti dell’uomo in pose a mezz’aria, quasi sempre sgraziate, pericolosamente comiche. Una bocca aperta, la smorfia di una masticazione-deglutizione, diocenescampi lo sbaffo di maionese sul labbro… no, no, una foto così avrebbe potuto essere usata per mettere in ridicolo la sua vittima, magari ripescata fuori tempo e fuori contesto, che so, messa accanto a notizie drammatiche… Tipo guarda, ci sono mille sfollati per il terremoto e lui è lì che sbafa felice e contento…
Ma c’era, io credo, anche una motivazione più recondita, di ordine simbolico, in quella censura preventiva. Dire che un politico “ci mangia”, è evidente a chiunque, non significa che sta nutrendo il corpo, ma che sta ingrassando il portafoglio, in maniera illecita e corrotta.
Non so a quando risalga questa torsione metaforica di una normale funzione corporale, ma so per certo quale fu la sua stagione dorata: fine anni Quaranta, inizi Cinquanta, quelli della infuocata competizione tra la Dc e il Pci. Allora erano i comunisti a chiamare “mangioni” i governi scudocrociati e i loro ministri. I manifesti elettorali del Pci invocavano Via il regime della forchetta, canzoncine satiriche (Con De Gasperi nun se magna…) contrapponevano la fame del popolo lavoratore postbellico al magna-magna della nuova classe politica nazionale.
Quando è accaduto, dunque, che i politici italiani hanno cominciato non solo a lasciarsi fotografare mentre comprano una pizza nel cartone ma a fotografarsi da soli e a diffondere sui social i propri selfie mentre addentano forchettate di bucatini o pane e Nutella? Quand’è successo che al parla come mangi si è sostituito il mangio come parlo?
Anche qui, credo che la risposta, almeno la più semplice, non sia difficile da trovare. È il populismo, ragazzi, e non possiamo farci nulla.
L’immagine del leader politico è stata radicalmente rovesciata dalla retorica (ingannevole come un hamburger di soia) dell’uno-vale-uno, dei governi del popolo eccetera.
Io sono uno di voi, proclama il leader affondando le fauci nel panino. Io sono voi. Io-voi. Sempre più stretto l’abbraccio. Voi mangiate, no? Anche io. Voi vi fate i selfie mentre mangiate, no? Anche io. Abolire la distanza. Creare l’identificazione. La sovrapposizione.
Mangiare è proiettare l’immagine dei precedenti leader digiunanti nella luce improvvisamente vetusta della kasta disumana, distaccata dalla vita vera.
Era già successa una cosa del genere quando i politici improvvisamente cominciarono a ridere. A ridere nelle fotografie, intendo. Negli Stati Uniti, la galleria dei ritratti ufficiali dei presidenti somiglia a un corteo funebre. Nei medaglioni del potere, il condottiero deve avere un contegno, deve assumere la posa di chi sta pensando grandi cose, lo sguardo laterale e un po’ girato verso l’alto di chi vede il futuro lontano, le labbra serrate dalla determinazione e la fronte corrugata dalla volontà. Potete trovare qualche foto in cui Abraham Lincoln sembra stirare le labbra al sorriso, ma potete stare sicuri che non furono quelle che gli fecero più comodo e piacere.
Poi, improvvisamente, gli americani si trovarono davanti un presidente che sorrideva, Anzi no, rideva proprio, sghignazzava, a bocca aperta e denti in mostra.
Si chiamava Theodore Roosevelt e fu eletto nel 1901. Repubblicano conservatore, ebbe una passione per le tecnologie (fu il primo presidente a muoversi in automobile, a volare su un aereo, a immergersi con un sottomarino) e un precocissimo intuito per il potere dei media. La sua risata contagiosa, immortalata in una fotografia celebre, fu usata per la copertina del Leslie’s Illustrated nel 1916: la sua testa ridente bucava letteralmente la prima pagina del settimanale. Da allora, pressoché tutti i presidenti americani costruirono, coltivarono e usarono come un brand il loro specifico sorriso: pensate solo a Ronald Reagan.
Perché lo fecero? Teddy Roosevelt fu contemporaneo ad una svolta epocale nell’iconosfera privata e pubblica: l’affermazione dell’era Kodak. Il sistema (non solo fotocamere economiche ma anche e soprattutto il servizio di sviluppo e stampa) che metteva alla portata di tutti la produzione di fotografie. Che fece della fotografia, per la prima volta, un medium orizzontale, autogestito, popolare, in grado di arricchire la vita privata.
Bene, l’ideologia Kodak si reggeva su una potentissima, fortunatissima identificazione fra la fotografia e la felicità. La felicità familiare, personale, degli affetti privati: che diventò un dovere immortalare negli album, per la presente costruzione dell’unità familiare e la futura memoria della prole. Fu l’era Kodak a imporre il sorriso come comportamento d’ordinanza, necessario, appropriato davanti all’obiettivo delle fotocamere: say cheese! Fu l’ordine, lo squillo di tromba che metteva sull’attenti i muscoli facciali, fino a quando la reazione non si incarnì nelle abitudini spontanee, diventando reazione pavloviana. I politici (Teddy Roosevelt in realtà era molto in anticipo sui tempi: ci fu ancora spazio per leader dalle pose drammatiche, i dittatori del Novecento) si adeguarono a un atteggiamento che consentiva loro di farsi aprire la porta di casa dall’americano medio.
Avrei altre cose da dire sul sorriso dei politici ma vorrei tornale al cibo. La digressione mi è servita per dire che la fotografia è un potente creatore di maschere sociali, che la politica può indossare se e quando decide di fingere di sciogliersi nel popolo. Che oggi i selfie delle nuove kaste populiste siano in realtà confezionati artificiosamente da team di comunicatori, altro che spontaneità, non sembra interessare a nessuno. Siamo, in fondo, anche l’età delle apparenze, e delle fake news. Crediamo che che ci oiace credere, ci rassicura, ci nutre.
Eppure, come sempre, cerco di non accontentarmi della prima spiegazione. Vado un po’ indietro con qualche buona lettura e ricordo celebri studi storici sull’uso del corpo da parte dei potenti (il capostipite e capolavoro I due corpi del re di Ernst Kantorowicz).
Nell’età classica, i sovrani non godevano di alcuna privacy. Gli atti corporali della loro vita quotidiana si svolgevano di fatto sotto gli occhi di decine di persone, quando non venivano addirittura esplicitamente organizzati come cerimonie rituali (il lever du roi di Luigi XIV). Così, come il risveglio del sovrano era una specie di nuova alba della nazione intera, rinnovata ogni giorno, anche l'esibizione pubblica del suo pranzo era una allegoria politica. Il re era simbolicamente il corpo della nazione: la sua manutenzione, il suo buon ingrassamento interessavano tutti.
Ehi, ehi, ma allora. Siamo proprio sicuri sicuri che quando un ministro ci mostra ossessivamente che cosa mangia, con chi va a letto, come si veste, lo faccia solo nel tentativo di suggerire una identificazione con i suoi sostenitori, con la gente comune con il mitologizzato popolo?
E se invece, dietro questa apparente democratizzazione della propria vita privata, il nuovo sovrano populista tornasse a pescare in quello scenario simbolico in cui il suo corpo diventa una sacrale allegoria, un corpo mistico, il corpo del Capo (qualcosa del genere, ma con altre strategie, lo fece in realtà prima ancora Silvio Berlusconi, come ci ha raccontato Marco Belpoliti in un bel libro)?
Pensiamoci bene. Cosa ci sta dicendo quel signore che cinguetta ogni giorno sui nostri display le sue piccolezze private? Probabilmente non sta affatto dicendo vedete?, io sono come voi. No no. Molto più verosimilmente sta dicendo vedete?, voi somigliate vagamente a me, anche voi mangiate come me, perché io vi ho creato a mia immagine e somiglianza. Adoratemi.